EX-ILVA SUUM CUIQUE TRIBUERE (A CIASCUNO IL SUO)

Roma - 30 novembre 2019 -

Il presente documento sulla situazione di EX-ILVA non contiene la storia del passato, né un’analisi delle colpe  ma è una “voce” sulla crisi attuale del Paese Italia del terzo millennio che, pur non avendo subito la tragedia di una nuova guerra, ha assistito ed assiste (quasi impotente) alla rovina di ogni sua risorsa (dal Territorio, alle grandi imprese nazionali) con la scomparsa o la metamorfosi di entità che, quando conservano il nome originario, non evocano più (come nel passato) il prestigio e l’orgoglio italiano: PERUGINA, FIAT, PARMALAT, MONTE DEI PASCHI DI SIENA, ALITALIA e … ILVA (appunto). Ma se dopo la 2a Guerra Mondiale, grandi Personalità hanno determinato la ricostruzione di un Paese distrutto; allo stesso modo, quando in politica faranno accesso persone oneste e competenti, l’Italia vedrà una nuova rinascita, fra quelle molteplici che durante la Storia l’hanno resa grande nel Mondo.

La salute, la dignità della Persona, la Giustizia, l’intangibilità della vita e la libertà sono degli obiettivi che le regole del mercato (domanda e offerta) e quelle dell’impresa (massimizzazione del profitto) non riescono, da sole, a conseguire; per questo, invece, esse sono affidate allo Stato affinché, attraverso la normativa (sanitaria, lavoristica, fiscale, ecc. ecc. …) introduca nella macchina economica delle variabili che, altrimenti, le sarebbero estranee. Spetta poi alla politica misurare e dosare tali variabili, tenendo conto delle esigenze del Paese e delle relazioni internazionali, determinando condizionamenti più o meno penetranti ed evidenti.

In altre parole, al sistema imprese-mercato è affidata la realizzazione della produzione e dello scambio, ma come tutto ciò deve avvenire è compito dello Stato. Ciò non significa che un’impresa non possa porsi delle finalità etiche, anzi, ogni impresa che produce beni utili all’esterno e garantisce lavori liberi e dignitosi all’interno è etica, ma allora essa deve sottrarsi (o deve essere sottratta) dai meccanismi automatici del profitto e dello scambio. Diversamente, l’impresa produce cose inutili o dannose all’esterno e schiavitù all’interno. Non ci mancano certo casi evidenti in Italia e nel Mondo.

La vicenda di EX-ILVA va inquadrata in questo scenario, in cui si evidenziano quattro problematiche fondamentali:

•       Morale - EX-ILVA, insieme all’acciaio, produce polveri tossiche e diossina che si disperdono nell’ambiente e fanno ammalare di cancro un’intera città, a cominciare dalle case popolari degli operai, costruite a ridosso degli impianti (quartiere Tamburi);

•       Aziendale - EX-ILVA produce in perdita (per varie ragioni, ora acuite dalle barriere doganali elevate dagli U.S.A.);

•       Sociale - EX-ILVA dà lavoro a 7.500 unità oltre a tutti gli altri lavoratori occupati nell’indotto;

•       Strategica - EX-ILVA, comunque, non solo produce acciaio di prima qualità ma è un’impresa determinante nello scacchiere economico nazionale e internazionale.

La soluzione ai primi due problemi consisterebbe nella chiusura degli impianti; quella agli ultimi due nel mantenimento in vita della fabbrica … ad ogni costo.

Esistono, quindi, due coppie di elementi in conflitto fra loro.

È una trappola dalla quale non se ne esce propinando “intrugli” che, lungi dal curare la malattia, sono solo in grado di provocare nuove patologie infettando anche altri settori extraeconomici. Ci riferiamo al cosiddetto “scudo penale”, che sarebbe meglio definire “scudo politico” perché, di fatto, nasconde colpe generalizzate, precedenti e attuali, di governi e cittadini.

“Privilegia ne irroganto”, la IX delle XII Tavole stabiliva il principio che la legge non poteva essere emanata nei confronti di un solo cittadino, ebbene l’articolo 2 (quello contenente lo scudo penale) del DECRETO-LEGGE 5 gennaio 2015, n. 1 ha il seguente titolo: “Disciplina applicabile ad ILVA S.p.A.”; stiamo discutendo, quindi, di una caduta indietro di 2.500 anni. Riteniamo che questo sia un motivo più che sufficiente per rigettare un provvedimento che, oltre all’anacronismo e alla grossolanità, costituisce una rovina dell’Ordinamento penalistico e un pericoloso precedente per la democrazia. Recita, infatti, il secondo periodo del comma 6 dell’articolo 2 del D.L. 1/2015 citato: “Le condotte poste in essere in attuazione del Piano Ambientale di cui al periodo precedente, nel rispetto dei termini e delle modalità ivi stabiliti, non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale. La disciplina di cui al periodo precedente si applica con riferimento alle condotte poste in essere fino al 6 settembre 2019”.

Ma già esistono le cosiddette scriminanti; in particolare l’articolo 51 del Codice penale, il cui 1° comma così recita: “L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”.

Quindi, non c’è ragione che venga prevista una norma complessa e ad personam, come il cosiddetto “scudo penale”, che potrebbe costituire un pericoloso precedente reiterabile ed estensibile ad altri casi. Essa è, quindi, da rigettare. Inoltre, una simile disposizione, non è tollerabile neppure nell’ipotesi della sua inutilità, perché qualsiasi “oggetto” inutile è anche dannoso, capace com’è di produrre guasti diversi, nel presente e nel futuro.

È possibile, tuttavia, prevedere con legge una norma astratta e generale, posta all’interno del sistema di tutela dell’ambiente e della salute, che renda lecite quelle attività di prosecuzione di preesistenti produzioni industriali inquinanti, se (e solo se) svolte in attuazione di precisi piani e programmi, tassativi nei modi e nei tempi. Al di fuori di tale rigido schema, rimarrebbe l’illecito.

In questo modo si distinguerebbero le posizioni di coloro che si sono resi responsabili di fatti lesivi, da quelle di chi si rimedierebbe ai gravissimi danni provocati dai primi.

Deve essere affermato, inoltre, il principio per cui, in prima battuta, le forme di tutela che riguardano ambiente e salute facciano sempre capo allo Stato centrale.

In questo modo si assicurerebbe il rispetto dell’antico principio “suum cuique tribuere”, che campeggia all’ingresso del Tribunale di Milano.

Nella situazione attuale, dunque, compete allo Stato:

1.     l’accollo dei costi del risanamento ambientale, con particolare riguardo alla città di Taranto e al quartiere Tamburi, ivi compreso un piano ultramoderno di riurbanizzazione e ricollocazione abitativa;

2.     l’assunzione di un ruolo speciale nel mercato con peculiari poteri di vigilanza, per assicurare ad EX-ILVA una onesta proprietà e un efficiente piano industriale che rendano compatibili il prodotto e il profitto con i superiori interessi nazionali.

 

ALLEGATI: 

D_20191130_DEMOS-ITALIA-EX-ILVA_ACiascunoIlSuo.pdf

Pubblicato in data 08/12/2019 da Giancarlo Barra